La Canestra di frutta è un dipinto a olio su tela di 31 x 47 cm, realizzato da Caravaggio intorno al 1597. Nel 1592 circa, Caravaggio si trasferisce da Milano a Roma dove lavora per il Cavalier d’Arpino, un pittore modesto ma assai accreditato: la sua bottega è una delle più famose della città. Al giovane Caravaggio, poco più che ventenne, vengono affidati soprattutto quadri con fiori, frutti e nature morte, ossia tutti quei soggetti che la pittura ufficiale considera meno prestigiosi dei quadri a tema religioso. Presto Caravaggio viene notato per il suo talento dal cardinale Francesco Maria Del Monte, che lo invita a palazzo lasciandolo libero di esercitare la sua arte. Tra le opere che il giovane pittore realizza per il cardinale c’è proprio una natura morta: la Canestra di frutta.

Il quadro è l’unica natura morta di Caravaggio che non sia andata perduta. In quest’opera, la frutta è l’assoluta protagonista,: non ci sono persone a sorreggerla, né tavole imbandite da arricchire. La scelta di sottrarla a una funzione puramente decorativa nobilita un tema considerato secondario, dandogli la stessa dignità artistica della figura umana. Il soggetto è inquadrato frontalmente e realizzato con estrema concretezza plastica. La cifra artistica di Caravaggio è già evidente in quest’opera giovanile dove, attraverso la drammaticità di contrasti tonali netti e decisi, il pittore esalta il profilo e i volumi delle forme. La pera e la mela bruciate dalla luce ingaggiano un intenso conflitto cromatico con i toni scuri dell’uva nera e della foglia di vite, che è dipinta in controluce.

Caravaggio non cerca una rappresentazione estetizzante, non si preoccupa che la sua frutta risulti bella o gradevole alla vista. Per il pittore il soggetto deve essere prima di tutto reale: dipingere significa accettare la realtà così com’è, senza abbellimenti e con tutte le sue imperfezioni. Anche i dettagli meno seducenti - la mela mangiata dal bruco, la foglia secca del fico o la polvere sugli acini d’uva - meritano di essere ritratti sulla tela. Caravaggio elabora in questo modo una rivoluzionaria estetica del vero, che viene però percepita dall’ambiente accademico romano come volgare e brutale. Non è chiaro come l’opera sia arrivata nelle mani del cardinale milanese Federigo Borromeo, probabilmente gli viene donata dal cardinale Del Monte nel 1599. Il Borromeo a sua volta la regala alla biblioteca Ambrosiana di Milano nel 1618. L’opera si trova oggi nella Sala 6 della Pinacoteca Ambrosiana di Milano.



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