Nell’agosto del 1968, sotto i cingoli dei carri armati sovietici, finisce la “Primavera di Praga”. Yalta, febbraio 1945. La seconda guerra mondiale sta volgendo al termine, e i futuri vincitori, USA, URSS e Gran Bretagna, si incontrano nella cittadina della Crimea, per spartirsi l’Europa in zone di influenza. Tutto l’est europeo, compresa la Cecoslovacchia, cade sotto il controllo politico e militare dell’Unione Sovietica. La Cecoslovacchia nel 1955, entra a far parte del Patto di Varsavia, un’alleanza militare stipulata dai paesi dell’Europa dell’est con l’Unione sovietica. Collocata nel cuore dell’Europa, la Cecoslovacchia ha una importanza strategica fondamentale.

Il partito comunista cecoslovacco, garante dell’alleanza con l’URSS, è fedele esecutore della volontà sovietica fino a quando, nel gennaio del 1968, Alexander Dubček sale alla guida del paese. Introduce una serie di riforme in senso liberale che danno vita a quello che lui stesso ha chiamato il socialismo dal volto umano. Dubcek raccoglie l’eredità dell’ex leader sovietico Kruescev, che aveva dato il via, in URSS, al processo di destalinizzazione, ma che proprio per questo era stato spodestato dal conservatore Leonid Breznev nel 1964. Ed è proprio Breznev che nella notte del 20 agosto del 1968 dà l’ordine a più di 5.000 mezzi corazzati di invadere il paese. L’esercito cecoslovacco non fa resistenza, e i sovietici arrivano facilmente a Praga, proprio mentre la presidenza del Partito comunista è riunito per ratificare una serie riforme liberali. La popolazione praghese, che appoggia Dubcek il rinnovatore, scende immediatamente in piazza per protestare contro l’invasione.

Ma Dubcek viene arrestato, portato a Mosca, privato del suo incarico e definitivamente espulso dal partito. Intimorite dal pericolo di una guerra nucleare, le democrazie occidentali hanno una reazione piuttosto debole. Nessuno sembra voler alterare l’equilibrio politico costruito a Yalta. Intanto la situazione interna alla Cecoslovacchia è ancora in fermento: il 16 gennaio del 1969, a Praga, un giovane studente, per protestare contro l’invasione sovietica decide di darsi fuoco nella piazza centrale della città. Il suo nome è Jan Palach. La Primavera di Praga è finita, ma a seguito di quegli eventi, l’URSS smette di essere il paese di riferimento del comunismo internazionale: molti partiti comunisti occidentali si allontanano dalla influenza sovietica, dando vita al così detto eurocomunismo.

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